mercoledì 1 luglio 2009

Cinque lettere dall'Egitto


È sempre triste partire da un luogo dove si sa che non si tornerà mai. Ecco una di quelle malinconie del viaggio che sono forse una delle cose più proficue dei viaggi.”

Ecco la sensazione che mi lascia questo libro, una raccolta di cinque lettere scritte da Gustave Flaubert all’amico Luois Bouilhet.
L’aspettativa, eccola che torna a tormentarmi, era molto alta, e non è stata tradita. Conoscevo Flaubert per Madame Bovary, romanzo letto a scuola, con annessa relazione. Il tipico romanzo ottocentesco con il punto di svolta per chi legge, e per chi ha scritto. I personaggi sono autonomi.


Poi ho scoperto che Flaubert non solo è l’autore di Madame Bovary, ma è stato anche un viaggiatore alla ricerca del “pittoresco oriente”, e della sua ricerca sono arrivate a noi le lettere che il giovane Gustave scrisse all’amico Luois e alla madre.
Cinque lettere dall’’Egitto, di Gustave Flaubert scritte a partire dal 1849 durante il viaggio in Egitto, Siria, Palestina intrapreso grazie all’amico Maxime Du Camp, con lo scopo di superare il trauma di sentirsi bocciare la sua opera La Tentation de Saint Antoine.
Cinque lettere, poche in effetti, ma ricche del succo di questo viaggio. Le cose che ho trovato più interessanti di questa raccolta sono state principalmente due.


La prima è la volontà di dare un’impronta sociologica al racconto. Flaubert è interessato solo marginalmente al luogo, ai monumenti, al deserto o agli animali. La ricerca dell’esotico è tutta sociologica. Flaubert vuole capire la gente, vuole vivere la gente. Racconta dei rituali, dell’abbigliamento e delle usanze. Il suo sguardo è “deviato” dalla sua cultura di appartenenza, racconta di avvenimenti pittoreschi, di sesso libero da inibizioni di genere, di esperienze oltre il limite, senza rinunciare a estremizzazioni puramente narrative. La visione della donna è sempre schiava, di uomini, del sesso, di se stessa. Violata, infibulata e privata del piacere. Nostalgica.

La seconda cosa che mi ha affascinato in queste lettere è la figura di Maxime Du Camp. Credo che mi sarei innamorata perdutamente di un uomo del genere. Un uomo sicuro che prende in mano la situazione e le redini del viaggio, godereccio, privo di inibizioni (almeno in viaggio), assetato di sapere e ambizioso.
Il suo viaggio nasce per un progetto. Realizzare il primo reportage fotografico in medioriente. E ci riesce. Nel 1852 Du Camp avvia alle stampe due volumi che raccolgono le sue fotografie, le più antiche mai realizzate di tante vestigia egizie e mediorientali.

Il concetto di viaggio è affascinante, la sua evoluzione e sviluppo nel tempo è affascinante. Queste lettere sono piccoli tasselli di un puzzle enorme che ha permesso, insieme alle lettere degli altri viaggiatori, a storici e sociologi di ricostruire la cultura e la società di intere comunità nomadi, berbere e quant’altro.

Ma il vero motivo per cui ho letto queste lettere è un altro. Cercavo un racconto, uno scorcio poetico su una danzatrice, su una donna incantatrice che con le sue danze faceva innamorare il giovane scrittore. Non l’ho trovata.
Un motivo c’è, e in realtà avrei dovuto saperlo, perché puramente storico. In quel periodo storico (1849-1850) le danzatrici erano state cacciate dall’Egitto, esiliate perché troppa confusione si era creata con l’arrivo degli occidentali che calpestavano le tradizioni e la cultura locale, con il loro arrivo nascono i locali dedicati a loro, per soddisfare le esigenze… le aspettative del viaggiatore, assetato di “esotico”. Con l’apertura di locali dedicati principalmente a loro, dove le almee non trovavano spazio, perché suonare e poi danzare, non faceva consumare. Mentre danzare, spogliare e prostituire rendeva felici i viaggiatori del tempo (e anche quelli di oggi purtroppo). Le prostitute che scimmiottavano le danzatrici, la famosa danza dell’ape, ha fatto degenerare la situazione, relegando le danzatrici ad esiliate.
Così lo sceicco di turno bandì le danzatrici, con l’obiettivo di aumentare il controllo della situazione. Danzatrici che trovarono rifugio altrove (ecco giustificato il proliferare della danza egiziana in tutto il medi oriente) e al loro posto, in Egitto, gli uomini e le prostitute continuarono clandestinamente a far divertire i viaggiatori e irrimediabilmente, a rovinare la reputazione di chi, come le danzatrici, era parte integrante di una cultura.

Ok, basta. Ho finito il monologo. Vorrei scrivere di più, perché mi piace davvero questo filone, ma non ora, sarà un miracolo se un lettore sarà arrivato qui.

P.S. Coincidenze. Sabato durante il trasloco dei miei genitori ho avuto in regalo un'intera collezione di Libri d'Arte SKIRA, una collana dedicata alla Scultura classica e una Collana minore dedicata ai pittori. Nel marasma di cose da destinare è uscito un libro senza sovracopertina, rosso. Lo apro e il titolo è "Nelle terre di Osiride - Luoghi e monumenti d'Egitto attraverso fotografie e diari di fine Ottocento". Stupefacente coincidenza.
Così stasera torno a casa e corro a vedere la data esatta. Bhè, quei fotografi hanno intrapreso il viaggio 7 anni dopo Du Camp, le loro foto sono contemporanee hanno, forse, lo stesso respiro.
Questo post è diventato un saggio praticamente. Ma è curiosa la vita. In 29 anni non avevo mai visto questo libro, lo scopro durante la lettura di un libro di viaggio... e trovo citato Du Camp, mai sentito nominare così tanto come in questi giorni.

Nessun commento:

LinkWithin

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...